Il mercato del lavoro nell’era digitale secondo l’Ocse
di Massimo Guerra e Luisa Sbrana
Riduzione delle diseguaglianze, anche e soprattutto in termini di gap di genere, rischi e prospettive per il lavoro nell’era digitale, le sfide dell’integrazione con i flussi migratori: queste alcune delle direttrici dell’intervento di Stefano Scarpetta, direttore della direzione per l’occupazione, il lavoro e le politiche sociali dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo europea (OCSE), nell’incontro con il gruppo di giornalisti del programma Erasmus Plus dell’ODG della Liguria.
In premessa, un quadro statistico che nell’anticipare i trend restituisce la fisionomia di un mercato del lavoro, in Italia e in Europa, con una popolazione lavorativa sempre più vecchia alle prese con la sfida dell’intelligenza artificiale. Una fotografia tanto più attuale per una regione, la Liguria, con la popolazione più anziana in un Paese, l’Italia, con la percentuale di anziani più alta d’Europa.
La Formazione, allora, come parola chiave per arginare l’impatto della rivoluzione digitale sull’occupazione, a partire dallo studio dei lavori che potranno scomparire a fronte di quelli che emergeranno e delle conseguenze che avranno in termini di chances e disuguaglianze sul mercato del lavoro. Per Scarpetta l’IA non porterà alla soppressione di un numero significativo di posti di lavoro, ad una condizione: che gli Stati investano di più e meglio sulla formazione, sia su quella rivolta ai giovani in età di accesso al mercato del lavoro, sia quella rivolta ai lavoratori, ovvero la “formazione continua”.
Un punto sul quale Scarpetta ha voluto sottolineare il concetto riguarda i contenuti formativi in grado di fare davvero la differenza: basta formazione a pioggia, moduli generici che non influiscono minimamente su skill e professionalità. In una recente intervista al Corriere.it aveva specificato: “Indispensabile adattare i curricula scolastici e universitari per dare possibilità ai giovani di apprendere le competenze più utili oggi sul mercato del lavoro, sia offrire corsi di riqualificazione ai lavoratori che sono già sul mercato. La vera sfida è la formazione permanente”.
Tenendo presente un dato sottolineato da Scarpetta: “Nei paesi OCSE i lavoratori più qualificati hanno una probabilità tre volte superiore di ricevere formazione rispetto ai colleghi meno qualificati, un altro potenziale fattore di effettiva diseguaglianza”. Nello stesso intervento, il dirigente OCSE aveva stimato che la percentuale di posti di lavoro a rischio IA fosse dell’ordine dell’8-10%, ma almeno un altro 20-25% dei posti di lavoro non sparirà ma subirà però cambiamenti nelle mansioni che renderanno necessario un grosso sforzo di riqualificazione dei lavoratori. Il rischio da evitare, ribadito da Scarpetta in interventi e seminari promossi da OCSE è di fatto il rovescio della medaglia del progresso tecnico e della rivoluzione digitale: “Che sono skill-based, perché premiano le persone con competenze più elevate relegando i lavoratori a bassa qualifica a lavori più precari e a bassa remunerazione”.
Il rischio è concreto perché nei 32 paesi OCSE quasi la metà della popolazione attiva (18-65 anni) ha basse competenze digitali, con la maggior parte delle loro skills limitata all’utilizzo di smartphone o come utenti di caselle di posta elettronica. “Siamo rimasti stupiti dagli sviluppi della ChatGPT – ha affermato Scarpetta nell’incontro con i giornalisti liguri – ma su tutto l’ambito dell’IA l’OCSE sta organizzandosi per fornire alle legislazioni dei paesi aderenti indicazioni su adeguate policy. Partendo da un’inchiesta fatta in 7 paesi su 2000 imprese del settore manifatturiero.
Rispetto al quadro italiano, Scarpetta ha ricordato che nel 2050 sarà over 65 un terzo della popolazione, un quarto in ambito OCSE, con l’Italia che detiene il tasso di fertilità e il tasso di occupazione più basso tra i partner, con un tasso di occupazione femminile pari al 50%, ovvero una donna su due lavora perché nel nostro Paese persiste uno scarso utilizzo del potenziale di talento femminile, malgrado che le giovani donne siano in media più qualificate dei coetanei.
“L’Italia forma le donne, ma quando entrano nel mercato del lavoro subiscono un gap a differenza di quello che avviene nei restanti paesi OCSE, dove la donna si assenta a un certo punto ma poi rientra: in Italia molte madri non rientrano nel circuito lavorativo o rientrano con prospettive diverse”. Madri lavoratrici, ma anche padri: “Tanti paesi hanno fatto sforzi per incentivare i padri lavoratori, ad esempio assegno di famiglia per padri in Germania, in Italia invece chi produce un secondo reddito della famiglia viene tassato in modo significativo”.
Better policy for better life, allora, come strategia ineludibile che attraverso la formulazione di standard setting (KPI – indicatori) e grazie alla sua composizione (38 Paesi tra i più sviluppati del mondo) utilizza il soft power (potere attrattivo) per ispirare scelte politiche orientate alla integrazione dei flussi migratori, al pieno coinvolgimento della componente femminile della società, anche e soprattutto in termini di riduzione delle diseguaglianze sociali oltre che economiche nella prospettiva di un benessere più equo e sostenibile (obiettivi BES).
In tutto questo, la Comunicazione gioca e giocherà un ruolo prioritario.