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Alla ricerca della verità: già, ma cos’è la verità?

In Finlandia con il progetto Erasmus+ dell’Ordine dei Giornalisti della Liguria

 

Di Elena Nieddu

 

Per molte persone il nome di Vasilij Mitrokhin è legato a un archivio sepolto nel giardino di una dacia russa; per me, ai miei diciotto anni. Mentre l’ex archivista del KGB bussava alla porta del consolato britannico di un Paese nel nord est dell’Europa, rivelando nomi, cognomi e incarichi di chi in Occidente aveva aiutato la causa sovietica, io imparavo a riconoscere il rumore di un ideale che si sgretola. Era il 1992: a Genova, noi studenti protestavamo contro le celebrazioni per i cinquecento anni dalla scoperta dell’America, affermando così da quale parte stavamo. Già, ma da quale? L’Unione Sovietica non esisteva più; la Confederazione di Stati Indipendenti l’aveva sostituita nella geografia politica ufficiale, non certo nel cuore, lento a capire. Ma era una enorme bugia quella in cui da ragazza avevo creduto e si sarebbe polverizzata, molti anni dopo, in un museo di Rīga, davanti alle maglie di cotone leggero fatte indossare a meno 50 gradi ai prigionieri dei gulag siberiani.

Gabbiani

Il nome di Mitrokhin mi è passato davanti agli occhi in un documento letto in preparazione di un viaggio in Finlandia. Sono stata a Helsinki per una settimana con diversi colleghi e colleghe, nell’ambito del progetto Erasmus +, organizzato dall’Ordine dei Giornalisti della Liguria, per studiare il sistema finlandese di contrasto alla disinformazione.
La Finlandia, infatti, con il punteggio di 74/100, è al primo posto nella classifica del Media Literacy Index 2023, stilata da Open Society Institute-Sofia sulla base di alcuni indicatori: la qualità dell’educazione, la libertà dei media, la fiducia nella società e l’uso dei nuovi strumenti di partecipazione. Tutto questo rende la Finlandia, in base alla classifica in cui l’Italia occupa il ventiquattresimo posto con un punteggio di 47/100, prima in Europa nella lotta alle bugie. Prima, non perfetta: ed è in quei ventisei punti di scarto alla perfezione (100/100) che si apre un mondo che ha a che fare con cose nuove – l’intelligenza artificiale sempre più intelligente – e con cose antiche, come le ombre proiettate in una caverna che tutti, giornalisti compresi, certe volte scambiamo per verità.

Spesso, camminando in mezzo alla neve per le strade di Helsinki, mi sono domandata: che cos’è la verità? Tutte le persone interpellate sembravano sapere esattamente come cercarla. Ma, di fronte a quelle vite così sicure nella distruzione degli inganni, continuavano a tornarmi in mente scenari mediterranei: il profumo dei limoni delle novelle di Luigi Pirandello e le banali discussioni con gli amici, in cui ho avuto difficoltà a individuare dove fosse il vero. A Nord, invece, la verità sembra limpida come le luci del Baltico. Ma cosa spinge questa gente a farne il perno della loro società?

Una prima risposta potrebbero darla i gabbiani. A Helsinki li ho visti frugare nei bidoni della spazzatura nei giardini dell’Esplanadi, avventarsi in stormo sui resti di una zuppa di salmone versata nella neve, chiamarsi l’un l’altro con versi sgraziati, incrociarsi in volo sui soli verniciati nel cortile di una scuola. La loro vicinanza bastava a farmi sentire in pericolo. Forse perché ho visto troppe volte Gli uccelli di Alfred Hitchcock, continuavo a pensare che quei volatili stessero per prendersi la città e che aspettassero solo il momento buono per farlo: forse non sarò mai attaccata da uno di loro, pensavo, ma non sono tranquilla nel saperli vicini.
Probabilmente – dopo una sola settimana non posso dirlo con certezza – è un sentimento simile alla mia fobia dei gabbiani a rendere la società finlandese così sensibile alle bugie. Rigida nelle architetture, Helsinki mi è parsa una città mutevole nelle forme e nei colori – il grigio e il rosso della roccia, il celeste di un mare che spunta da tutte le parti – ma compatta nel ruolo che la Finlandia si è assunta all’interno dell’Unione Europea: quello di baluardo dei 1344 chilometri di confine con la Russia, esercitato anche attraverso la lotta alle bugie. Benché, forse per la tipica riservatezza nordica, solo una volta quel sentimento sia stato espresso in parole – «The fear of Russia» – ho avuto l’impressione che esso sia come un accordo che intona ogni azione: quelle del primo ministro, come quelle del singolo cittadino.

Il sistema finlandese 

Come ci raccontano al Ministero della Cultura, in Finlandia l’educazione ai media è trasversale. È presente nei programmi di quasi tutti i ministeri e permea tutti i livelli del vivere insieme. Iniziano a insegnarla ai bambini molto piccoli, con giochi come il “telefono senza fili” fino ai curricula di giornalismo all’università, passando attraverso le scuole superiori, come la Otaniemi High School di Espoo che ho avuto la possibilità di visitare. È una scuola d’arte, atmosfera simile a quella del telefilm Fame, chi ha una certa età lo ricorderà: le aule di musica e di arti visive, i laboratori di chimica, le salette per lo studio, i tavoli da ping pong, gli ambienti bianchi e puliti, non sono qualcosa che si dimentichi facilmente. Negli occhi degli aspiranti giornalisti iscritti alla classe di mass media ho visto la passione: e quando ho chiesto loro se le riunioni di redazione fossero burrascose, mi è stato risposto «Noi non litighiamo mai».

Non è un dato da poco: la media literacy, attraverso la media education, è un tassello importante nel diminuire la paura, quindi l’ansia, quindi la litigiosità e il dissenso fra le persone, e nell’aumentare la fiducia nel governo e nei mass media.

Non si nega il male: si svelano i suoi meccanismi e lo si affronta con tutti i mezzi. La tv di Stato Yle, blindatissimo “asset strategico”, fra le altre cose ha realizzato una app (Troll Factory, la trovate qui) che invita il giocatore a trasformarsi in un diffusore di odio tramite post razzisti o xenofobi, ricavati da reali materiali trovati in rete, per comprendere i meccanismi della malinformazione. Inoltre, le biblioteche, come la Oodi Library, nel centro di Helsinki, sono spazi di aggregazione culturale, dove la media literacy viene insegnata alle persone adulte, affiancando in questo obiettivo anche le associazioni del terzo settore. Ancora, autoregolamentandosi e affidandosi a fact-checker professionisti, come Faktabaari, con il loro lavoro i giornalisti aumentano la fiducia nei media: ci dicono infatti che quasi nessuno in Finlandia dubita che essi dicano la verità. Non solo: sono talmente importanti che è già attivo un meccanismo di protezione, Mediapooli, che riunisce 70 realtà attive nei media per garantire il funzionamento del sistema in «qualunque situazione», come dice sorridendo una dei responsabili, mostrando in una slide la linea sinuosa dei 1344 chilometri del famoso confine.

 

La fabbrica delle bugie

Si chiamano così, spiegano, le azioni che prendono di mira uno Stato nelle sue vulnerabilità, cercando di indebolire la fiducia dei cittadini verso la democrazia: attacchi alla rete elettrica, distruzioni del data-base degli ospedali, ma anche corruzione dei politici, o la creazione di atroci situazioni umanitarie legate alle persone migranti, come quella al confine tra Bielorussia e Polonia raccontata da Agnieszka Holland nel film Green Border.

Minacce ibride sono anche le parole, se usate per raccontare storie non vere. È qui che entra in gioco Vasilij Mitrokhin e il suo famigerato archivio, il cui nome è emerso nella lettura di un documento interessante: il working paper 29 di Hybrid COE, firmato da Aiden Hoyle e Josef Šlerka, dal titolo Cause of concern: The continuing success and impact of Kremlin disinformation campaign (lo trovate qui, scaricabile gratuitamente). Di Mitrokhin si parla in un lungo excursus storico, nel quale si raccontano i metodi usati dal KGB – le cosiddette “misure attive” – finalizzate a indebolire l’Occidente; per concludere che, in buona sostanza, essi assomigliano assai a quelli messi in atto ai giorni nostri. Stando al documento, l’Italia, come la Spagna e la Grecia, è fra i Paesi più bersagliati.  Come, a proposito di Mitrokhin, citando dal libro The Sword and the Shield di Christopher Andrew, si ricordano le operazioni in Francia e nel nostro Paese per costruire un “sentimento pro-sovietico”, così anche oggi alcune false verità verosimili trovano spazio sui nostri media e social network.

 

Le campagne della disinformazione

Sarà un caso, ma i gabbiani non volavano davanti alle finestre chiuse ermeticamente di Hybrid COE, in un bel palazzo di Helsinki, dove ho rivolto le mie domande a Markus Kokko, capo della comunicazione del centro, che mi ha messo rapidamente in contatto con Jakub Kalenský, Deputy Director di COI Hybrid Influence at Hybrid CoE ed esperto di disinformazione. In una e-mail cortese, Kalenský mi racconta dell’esistenza di un database, EUvsDisinfo: un catalogo della disinformazione. Numerose campagne si concentrano sulla guerra in Ucraina: «I disinformatori provano a denigrare quel Paese, minandone il supporto esterno, ma anche» ed è qui la trappola, dico io «invocando una “pace” che cementerebbe le conquiste territoriali russe e lascerebbe impuniti l’aggressione e i crimini di guerra».
Tutto ciò che esacerba gli animi viene utilizzato: «le migrazioni» con i dilemmi che ne derivano «la Covid19 o le questioni LGBTQ+: qualunque cosa aiuti a diffondere le divisioni e la polarizzazione e a denigrare “l’Occidente” e le sue componenti, l’Unione Europea e la Nato».

Ma c’è di più. «Il sistema della disinformazione è molto diffuso» spiega Kalenský «prima di tutto, è il Cremlino stesso, quindi le ambasciate, i servizi segreti, l’esercito con le sue truppe di informazione. Quindi ci sono gli pseudomedia, siano essi stampa, radio, siti web. Quindi le realtà “grigie” che si proclamano indipendenti, ma comunque diffondono quelle informazioni. Ancora, i troll sui social media e i coadiutori nei diversi Stati: agenti pagati, alleati ideologici, utili idioti o attori cinici che usano la disinformazione per i propri scopi. In sostanza, il sistema di disinformazione del Cremlino è molto più grande di quanto si immagini».

E l’Italia, in questo quadro, ha un ruolo importante. Quale? Da cosa è favorito? Kalenský risponde che le ragioni della vulnerabilità del nostro Paese a queste campagne non sono state indagate da loro in profondità. Sicuramente, però, l’antiamericanismo è tra i fattori che aiutano le campagne di disinformazione della Russia. Scartabellando in rete provo ancora ad approfondire: dal database EUvsDisinfo trovo i documenti della Fondazione Gino Germani e il focus sull’Italia a cura di Jacopo Iacoboni in The Kremlin’s Troian Horses, a cura di The Atlantic Council Eurasia Center. Quello che emerge da una lettura di tali documenti è quanto l’Italia sia terreno fertile per la “disinformacija” perché percepita a Mosca come l’anello debole della Nato, che non ha bene sviluppato i pilastri del sistema finlandese in risposta alla guerra cognitiva: fiducia nelle istituzioni e nei media, media education dai primi anni della scuola, media literacy durante tutta la vita del cittadino. E l’amore per l’armonia e per la verità.

 

Tornando alla verità

Già, la verità. Mi torna in mente Pirandello mentre ascolto il rumore delle mie scarpe sulla neve. La ricerca della verità e la lotta alle bugie sono la stessa cosa? Dopo una settimana in Finlandia non saprei rispondere. Credo, però, che ci sia qualcosa di poetico in questa lotta nazionale al falso: la stessa ostinazione di Hendrick il coraggioso, il bambino olandese che salvò un paese, chiudendo con un dito la falla nella diga. E ognuno di noi, penso, nella vita di ogni giorno, è come quel ragazzino.

 

Foto: Elena Nieddu